Le immagini di Marcello Marcolini non costituiscono un'opera che possa essere appesa in muro, pannello o superficie di appoggio. Esse aprono letteralmente finestre per le quali lo sguardo attraversa la materia fotografica per comunicare una cerimonia, un Rito, come il suo autore li denomina in forma generalizzata.

Citando a Juan Eduardo Cirlot, Dizionario di Simboli, ogni rito nella sua essenza simbolizza e riproduce la creazione, è un appuntamento, cioè, una confluenza di forze ed ordinazioni; il suo senso sorge dall'accumulazione e della combinazione di quelli poteri combinati.
Così si stacca dal suo singolare trittico di crocifissioni nei cui estremi un'immagine espejada allude al serialismo in uno dei suoi attrezzi, l'investimento; la cosa sinistra nella cosa destra, la cosa maschile per la cosa femminile. C'è descolocación della cosa quotidiana perché, come nella partizione chirurgica del pompelmo e la sua ingestione, l'atto si sacralizza in comunione di eucaristia.
Le relazioni tra piccoli gruppi di immagini stabiliscono contrasti e somiglianze spirituali. Tra un deserto patagonico ed il vigore di un giardino inglese, il protagonismo umano reitera la sua solitudine, agonica nella pietra secca, riflessiva nell'umidità rinfrescante della lettura.

Come predizione di una vita futura, l'immagine diventa oracolo nel proiettore infantile, nel mistero della ballerina rinchiusa magicamente nella bottiglia, marche delle forze originarie che conducono ad una strada estetica e pertanto religioso. I segni tatuati nella pelle, la presenza del prezioso oggetto che ricorda l'inevitabile esistenza della cosa temporanea, l'ambiguità sessuale, il nudo incorniciato in un paesaggio ferroviario, industria malinconica e deteriorata, la solitaria candela che re-veglia la cosa umana e la sua esasperata ricerca del colore saturo, o la luce che attraversa la lucarna e dá anima, alla maniera del vitraux, all'individuo umano, sono scene di magia e trasformazione. Istanti segreti e non verbali di un mondo disperato che cerca nella ritualità una trascendenza del dolore quotidiano, una sublimazione ed un sacrificio che ci permettano di vivere.

Oscar Araiz
Coreografo

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Las imágenes de Marcello Marcolini no constituyen una obra que pueda ser colgada en muro, panel o superficie de apoyo. Ellas abren literalmente ventanas por las que la mirada atraviesa la materia fotográfica para comulgar una ceremonia, un RITO, como su autor las denomina en forma generalizada.

Citando a Juan Eduardo Cirlot, Diccionario de Símbolos, todo rito en su esencia simboliza y reproduce la creación, es una cita, es decir, una confluencia de fuerzas y ordenaciones; su sentido surge de la acumulación y de la combinación de esos poderes concertados.
Así se desprende de su singular tríptico de crucifixiones, en cuyos extremos una imagen espejada alude al serialismo en una de sus herramientas, la inversión; lo izquierdo en lo derecho, lo masculino por lo femenino. Hay descolocación de lo cotidiano porque, como en la partición quirúrgica del pomelo y su ingestión, el acto se sacraliza en comunión de eucaristía.
Las relaciones entre pequeños grupos de imágenes establecen contrastes y semejanzas espirituales. Entre un desierto patagónico y el verdor de un jardín inglés, el protagonismo humano reitera su soledad, agónica en la piedra seca, reflexiva en la humedad refrescante de la lectura.

Como predicción de una vida futura, la imagen se vuelve oráculo en el proyector infantil, en el misterio de la bailarina encerrada mágicamente en la botella, marcas de las fuerzas originarias que conducen a un camino estético y por lo tanto religioso. Los signos tatuados en la piel, la presencia del precioso objeto que recuerda la inevitable existencia de lo temporal, la ambigüedad sexual, el desnudo enmarcado en un paisaje ferroviario, industria melancólica y deteriorada, la solitaria vela que re-vela lo humano y su exasperada búsqueda del color saturado, o la luz que atraviesa la lucarna y dá alma, a la manera del “vitraux”, al sujeto humano, son escenas de magia y transformación. Instantes secretos y no verbales de un mundo desesperado que busca en la ritualidad una trascendencia del dolor cotidiano, una sublimación y un sacrificio que nos permitan vivir.

Oscar Araiz
Coreógrafo

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